Quello che il tempo non dice (di Fabio Lucidi, maratoneta dopo il 28 novembre 2010)
3 ore 58 minuti 3 secondi. Il mio tempo netto finale. Non dice quanta gente ho salutato, quanti sorrisi ho scambiato, quanti applausi ho ricevuto e non dice nemmeno quanto avrei che voluto tutto questo finisse prima.
1 secondo. La distanza tra me e Rino secondo TDS. Non dice quanto sia stato bello avere un amico con cui condividere sia i primi, incerti, appoggi di 15 mesi fa con le scarpe da tennis che l’arrivo di domenica su piazza Santa Croce.
14 settimane. Il tempo che ho dedicato a preparare la maratona. Non dice quanto io sia grato a chi mi ha aiutato, motivato, consigliato, spronato e contenuto, seguito e preceduto come se a correre dovesse essere lui. Solo che lui alle maratone correva per vincere.
5.30 del mattino. L’orario in cui mi sono spesso alzato per allenarmi. Non dice quanto sia buio, quanta gente c’è in giro a quell’ora, quanto è bella Space Oddity all’alba nelle orecchie o quanto è buona la colazione dopo essersi allenati.
4 gradi, piogge abbondanti. Il tempo -nel senso della temperatura- con cui siamo partiti. Non dice per niente quanto fosse caldo lo sguardo delle mie figlie ogni volta che l’ho incrociato. Per fortuna all’arrivo i gradi erano 5.
Le 11 e 8. L’ora segnata dal mio orologio quando mi sono “visto” fianco a fianco con tutti i membri della strana pattuglia multinazionale con cui sono partito: Rino, Massimo, Ahmet, Ian ed io. Non dice quanto mi sentissi orgoglioso di correre insieme a quegli uomini alcuni dei quali non conosco affatto mentre altri invece non li conosco più.
14 anni di matrimonio, più o meno. E’ il tempo che ci è voluto per vedere, per una volta, mia moglie incitarmi a squarciagola entusiasta come una bambina. Per la cronaca erano le 11 e 16 ed eravamo vicini a Ponte Vecchio. Non dice quanto fossi felice di sentirla gridare.
45 anni. Sono quelli che ho festeggiato due giorni dopo la corsa. Non dice che, quando l’andropausa si avvicina, invece di guardare il sedere della signorina con i calzoncini attillati che ti precede sperando che ti sorrida, è meglio guardare il suo passo sperando di poterla superare.
6043 secondi. E’ il tempo intercorso dall’arrivo del primo crampo alla fine della corsa. Non dice quante volte ho pensato che non sarei arrivato, che avrei fatto meglio a camminare, che era stupido continuare così. C’è chi corre la maratona per scoprire chi è, alla ricerca della propria identità. Io in quei secondi ho pensato che “chi sei” non esiste, esiste solo “chi sei stato quel giorno”. Il fatto che non mi sia fermato è solo una contingenza che nulla mi dice come andrà la prossima volta. Per questo non ho corso la mia prima maratona e neppure la mia ultima maratona, ma solo una delle mie uniche maratone.
Due mesi e venti giorni circa. Il tempo che ci divide dalla maratona di Roma. Non dice che devo chiedere a Dario di farmi un nuovo programma.
03 dicembre 2010