Quando soffia il vento, d’inverno, quando la primavera sembra non arrivare e ci sentiamo indolenziti, intorpiditi, infastiditi, incimurriti… è tempo di aria di mare. Quale migliore occasione questa Corri Fregene? Circa 18 km rasenti alla costa per assaggiare un’aria diversa e per fare un tuffo nel mare freddo, come dice il mio amico Antonio, giovane ma grandissimo corridore, a vita persa….
Ma veniamo al contesto tecnico: un percorso filante, ritmato, di strada asfaltata pianeggiante. Alcuni rifondaroli si buttano nell’impresa. Essenzialmente 3 manipoli, più Stefano, il papà di Sofia, che approccia oggi il mondo delle gare podistiche partecipando alla non competitiva. Buon inizio, Stefano. Poi lo vedremo giocare con uno spelndido kite-aquilone, sulla spiaggia, con i colori rifondaroli.
Ma ecco i 3 nuclei: nucleo Grieco-Rossetti-Pamela, nucleo Buendias-Ricci-Panzer-Panzieri, nucleo Vipera-Paolessi-Secca (cioè io da sola).
La partenza, un po’ strettina, mi vede totalmente a freddo, senza velleità agonistiche, mezza addormentata e miseramente incastrata nel collo di bottiglia della stradina in cui si snoda la prima parte della gara, svicolante tra villini e casette che nascondono la nobile origine di questa cittadina, prima etrusca e poi romana, antico porto che gli Etruschi avevano costruito sull’Arrone. Il nome Fregene deriverebbe da frango nel senso di infrangersi sugli scogli o meglio gli isolotti sparsi in un’ampia laguna che raccoglieva le acque del Tevere e dell’Arrone. Da una ricerca è inoltre emerso che il nome di Fregene potrebbe essere riferito a Frigia, luogo di origine di alcuni mercanti, che con le loro navi facevano rotta verso la zona mineraria di fronte all’isola d’Elba e che facevano scalo proprio a Fregene.
Mi mette nostalgia questa atmosfera decadente, quel villaggio di Pescatori ormai location di ristorantini e trattorie alla moda e radical chic. Traspare l’antico splendore dell’agglomerato urbano, se così si può definire, sorto alle spese dell’antica duna costiera di cui rimane traccia nell’Oasi del WWF di Macchiagrande, nella zona di Maccarese, che traversiamo velocemente durante la nostra corsa.
In questa zona era situata la Fregene romana e guarda caso scopro che attualmente tale territorio è oggi denominato Primavera, la tanto agognata Primavera, alla fine, l’abbiamo trovata proprio qui.
Comunque, la mia corsa prende un ritmo accettabile. Da bravo muletto mi assesto su un passo e km per km procedo.
Sento alcuni podisti che chiacchiero, ma io sono concentrata sul respiro e non penso a niente. A tre quarti della gara incontro la bravissima Cristina, che, di buona lena si avvia a concludere alla grande la sua prova. Prova a comunicare giocosamente con un’antipaticissima Vipera berus, ma tant’è. La Vipera non si smentisce, è velenosa e scostante, tanto logorroica e cazzarona nella vita di tutti i giorni, quanto silenziosa e acida nel gesto atletico.
Al termine della gara ( anche se le gare hanno proprio questo, di bello, che non finiscono mai, ma questa è un’altra storia), giungo all’arrivo con la consapevolezza di aver fatto, nonostante la stanchezza arretrata che mi porto sulle gambe, una gara decente. Mi ritrovo con Simone, poi con Johnny Dalton e la Mitica “Panzer” Panzieri (Camilla, tu ancora non ci credi pienamente ma sei una forza della natura e presto lo scoprirai) che nonostante la bronchite, porta a termine una prova impegnativa in maniera più che soddisfacente.
Alle premiazioni, da seconda che ero, mi restituiscono il primo posto di categoria, erroneamente assegnato a un’altra. Mi sembra anche troppo per questa gara totalmente improvvisata. Però nel premio c’è un asciugamano da mare. A questo punto non rimane che buttarsi in acqua!
Così, con i Dalton, in un grido liberatorio, come ragazzini di 9 anni, ci buttiamo nel Mare Nostrum, nel bellissimo Tirreno, forse un po’ freddino, con la duna mangiata dal cemento, con la spiaggia assediata dall’asfalto, dai ristoranti e dai speculatori, ma sempre nostro, alla faccia vostra!