Questa storia comincia una mattina di circa tre anni fa, con l’interruzione di un rito quotidiano datato da oltre 20 anni . Sedentario per indole e per vocazione, rappresento il prototipo del maratoneta del mio lavoro, pronto a ripetere serie da 40 sigarette al giorno con recuperi brevissimi, allenato in quegli allunghi mattutini che permettono di cogliere ciò che trasforma una idea in un esperimento e un risultato in un articolo scientifico.
Così ho sempre cominciato le mie giornate alle 6 del mattino accendendo una caffettiera, un computer, una sigaretta, non necessariamente in quest’ordine. Quella mattina di novembre era fredda e stranamente non ero in ritardo con nulla. La vista della sigaretta accesa, adagiata su un portacenere già pieno, che fumava avvolgendo nella nebbia l’icona di windows mi deve essere apparsa, improvvisamente, nauseante. Senza alcuna precisa idea in mente ho messo le Superga, unico attrezzo dal sapore vagamente sportivo presente nella mia scarpiera, e sono uscito di casa. Per essere sinceri, è stato il freddo a farmi iniziare a correre. Dopo tre minuti è stato tutto il resto tutto a farmi smettere. Dopo tre giorni sentivo ancora dolore alle gambe. Dopo tre mesi correvo la mia prima Roma-Ostia, 1.51.Il novembre successivo la prima maratona, Firenze, 3.58.
Sono passati altri due anni. Oggi mi sento sereno su una mezza in 100 minuti. Però mi ci vogliono ancora 4 ore per correre una maratona.
Ci sono molte cose che portano le persone ad essere se stesse. Io personalmente penso che devo ciò che sono principalmente al fatto che ci provo sempre, non mi inganno mai e mi regalo tutto quello che posso regalarmi in ogni singola occasione. Poi vediamo come va a finire. Credo sia una qualità, ma non è la qualità con cui si corre bene una maratona. Ho corso le mie tre maratone con questi split tra le due metà: Firenze 1.56-2.02; Venezia 1.52-2.05; Roma 1.51-2.10. Si commentano da soli e mia moglie, che non è esattamente Luciano Gigliotti, mi ha chiesto: ma non sarà che dovresti provare ad andare un po’ più cauto all’inizio?
Con Ugo, in montagna, chiacchieravamo su cosa volesse dire, in termini di sforzo percepito, correre una maratona per me e per lui. Per quanto mi riguarda, per un lungo periodo (30 k) si tratta di trasferirsi correndo lentamente verso l’inizio vero della gara, cioè gli ultimi 12k, per tacer dei 195 m. Solo che questo trasferimento dura circa 2.40, tempo che permette a lui di concludere maratona + doccia. Per lui la maratona è una gara in discreta spinta fin dal 1k, solo che dura molto meno. Per parlare di quelli più forti di quelli forti, Dario mi raccontava che il suo Delta tra il personale nella mezza (1.03) e la prima metà di una maratona era sostanzialmente di 3 minuti!. Il loro compito, in tutta evidenza, è quindi quello di partire in buona spinta e cercare di mantenerla più al lungo del solito. Il mio è invece quello di cercare di risparmiare nei primi 30 Km. Risparmiare tutto il possibile. Ora, finalmente il punto è chiaro e il problema lo vedo benissimo: io non sono capace di risparmiare.
Io non sono capace di risparmiare niente, mai. Ho sempre pensato che il risparmio fosse un po’ come un debito, solo che il tuo creditore sei sempre tu. Questo non rende la cosa meno sgradevole, solo più surreale. Penso che il risparmio sia l’anello mancante tra noi onesti cittadini che chiediamo solo di fare un pezzo di strada sul pianeta lasciando la più modesta impronta ecologica possibile e le politiche monetarie che hanno trasformato le nostre aspettative nell’attesa di un fallimento inevitabile. Diciamo che non è nel nostro nome, però è per conto nostro, o magari per il nostro conto. La mia metaforapodistica è che rincorrere lo split negativo è un po’ come rincorrere lo spread col bund, non lo capisco e non mi riesco ad adeguare. Allora non risparmio proprio niente nella prima parte e i debiti nella seconda non riesco a pagarli. Così e la maratona la corro in 4 ore e un minuto, la prima metà in 1.51, la seconda in 2.10.
Però in tutto questo tempo ne succedono di cose. Molte riguardano gente con la maglia rifondarola (in incognito). Parto con i miei amici. Giovanni che l’ha preparata in mezzo a una profonda crisi aziendale, passando il tempo tra articoli da inviare a Science, fabbriche da picchettare e ripetute brevi a Caracalla. Rino che per allenarsi deve uscire da casa dei suoceri di soppiatto alle 5 di mattina, perché vive da loro mentre sta traslocando e se il lunghissimo finiscedopo le 9 poi non fa in tempo ad andare a prendere le finestre per casa nuova alla fabbrica che sta in Abruzzo. Al terzo incontro Rita, al quinto Km Valeria che, con Antonella, mi sta aspettando per buttarsi dentro. Sono solo pochi passi, ma i primi che corro con mia sorella in una gara. Poco prima di Ponte Milvio arriva Marco. Voi lo conoscete Marco, che una regola non si discute, si rispetta e correre senza pettorale è vietato. Entra dentro, mi dice di respirare e si mette pure a chiacchierare coi pace-maker. Guarda la signora dell’organizzazione che, poco prima del Rosi, gli dice di uscire. Un po’ si vergogna, ma lo sento che in fondo è a suo agio. Ha organizzato un servizio documentale, con Francesca che ci vede solo dopo che siamo passati e fotografa la mia schiena rifondarola sotto un cartello con scritto “La Sicilia in Bocca”. Evocativo? Poi ecco Dario, lui la maglia di rifondazione non ce l’ha, però a me l’ha regalata lui. Non fa in tempo ad entrare e già s’incazza: troppo veloci, non era questa l’idea. E’ vero, l’idea era che sarebbe stato bello incontrarlo li ed effettivamente lo è, lo è davvero. Al 35 incontro Ahmet, Turco pigro, che ci ha aspettato per l’ultimo pezzo. Ormai Ahmet usa il suo italiano solo per produrre battute folgoranti. Da quando Giovanni ha dichiarato le sue ambizione cronometrica è diventato “il Spirito con Scure”, mentre io sono Cico. Si, però Kung Fu Cico. Ora Rino sta in difficoltà, ma io non capisco ne come ne quanto. Ho solo una idea in testa, che è quella di capire in anticipo dove vedrò la mia famiglia, per prepararmi a tirare fuori le ultime energie e usarle per sorridere baldanzoso.Le ho incontrate 4 volte lungo il percorso. La prima volta che le ho viste è stato di sfuggita, con la coda dell’occhio. Ciò che ho urlato, d’istinto, è ciò che rende la mia vita esattamente ciò che è. “Io ho voi”.
Sono fortunato. Ho loro e ho anche trovato voi. Ci volevano tre maratone per capirlo così chiaramente. Non ce ne sarà una quarta.
Kung Fu Cico.