Al risveglio, sento la pioggia ticchettare, come previsto. L’idea di mettermi in macchina per andare a Bassano in Teverina a disputare l’ennesima gara, non mi attira per nulla. Potrei girarmi dall’altra parte e continuare a dormire ma ritengo di aver riposato a sufficienza. Mi vesto, colazione e… giù in strada, per un lungo. Appena metto il naso fuori dal portone, una pioggia fredda e una brezza ancora invernale mi accolgono in malo modo. Mi faccio violenza e proseguo, nonostante la spiacevole sensazione dell’acqua fredda che comincia a penetrare nelle scarpe.
Mentre mi avvio da Palombara verso Marcellina, riflessioni sopraggiungono. Sono quelle, immagino di tutti i corridori nella prospettiva di affrontare 17-18 km sull’asfalto, sotto la pioggia battente, cioè: “ma quanno me passa, oggi?” Tuttavia si continua, non certo come quei video in cui si vede la tipa bella che corre felice a Central Park, con quella pioggerella che le bagna il viso e la magliettina che diventa trasparente, ma con le macchine e le pozzanghere che ti lavano da capo a piedi e i bus e i camion che ti fanno il pelo e l’autista ti manda a quel paese…
Ebbene, tra un pensiero e un vuoto di mente, arrivo a Marcellina. Questo è un paese dei Monti Lucretili, alle pendici del Monte Gennaro. Tradizionalmente gli abitanti erano dediti alla pastorizia, ed erano conosciuti come “i Butteri”. Dalle carni dei bovini di razza podolica qui allevati, si facevano le caratteristiche “coppiette” di carne essiccata. A volte ho sentito dire il detto: “Marcellina, passa e cammina”, una frase dispregiativa, di cattivo gusto, rivolta a questo paesino e ai suoi abitanti ma io, che ho diversi alunni provenienti da Marcellina, non condivido assolutamente, anche perché conosco il loro amore per la montagna, la passione con cui seguono genitori, zii, nonni, i fine settimana, per andare alla ricerca di funghi, asparagi, o a governare qualche vacca che ancora pascola brada. Conoscono i ritmi del cinghiale e quello del lupo. Lavorano il legno, cercano antiche monete, suonano l’organetto. Io apprezzo moltissimo questi ragazzi, che ancora, durante l’estate, pernottano al chiaro di luna nei prati di “Campetellu”, cuocendo il cibo al fuoco e bevendo l’acqua del fontanile.
Mentre penso queste cose, che anzi non ho neanche più bisogno di pensarle perché sono ormai parte di me, come un tatuaggio sottopelle, vedo davanti al bar di Marcellina i butteri, con il loro cappello da cowboy, gioendo del fatto che a pochi km da Roma ci sono ancora queste realtà, sebbene pochi lo sappiano.