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Articoli che riguardano attività passate del settore senior e master

Clamorosa Fuga dei Dalton!

Ancora una volta, nonostante gli sforzi del gagliardo Lucky Pierluke, i fratelli Dalton sono riusciti a sfuggire alle maglie sbrindellate della giustizia!

E’ successo a Rebibbia, durante la Vivicittà 2016 organizzata dalla UISP. Con astuta mossa, il pistolone più veloce del West era riuscito ad attirare i tre malfattori tra le mura di un carcere, promettendo salamelle e prosciutti per tutti. Ma, mescolatisi tra i detenuti, al colpo di partenza era scoppiato un fuggi fuggi generale. A nulla sono valse le potenti falcate del Nulli, primo dei rifondaroli, seguito dall’inseguito Simòn Daltòn, lo spilungone per intenderci. Sorprendente la Vipera Berus, prima fra le donne, che bacchetta lo spompatissimo trio Gaglioppa – Conti – Guerra (inutile il rush finale del barbuto Pierluke), a seguire in ordine decrescente Frankie Dalton (detto “mazzarella” per ragioni che è meglio non indagare), un angelico Solimini e il perfido Johnnie, autonominatosi a capo della banda. Poco più dietro il Fabulous Olive Oil, Cristina, che tiene alto l’onore della famiglia Capizi, e la combattiva Camilla. Ritirata Yodel “Sciatica” Marcella, partita come fosse ancora agli Europei.

Approfittando del giubilo generale per il profluvio di punti criterium, i tre si sono poi dileguati nel dedalo della città vecchia.

N.d.R. Siamo ancora in attesa della classifica della non competitiva, ci scusiamo per il ritardo…

Gli Europei Master ad Ancona

Non so dire quando nella mia testa si è insinuata questa idea di partecipare alla gara master europei… forse una volta l’avevo sentito dire da Scozzarella… boh comunque io in vita mia non ero mai neanche entrata in uno stadio indoor né tanto meno avevo partecipato a un campionato europeo. Sapevo però che non potevo partecipare ai campionati italiani di cross e alla Roma Ostia perché dovevo andare in Cina per lavoro e questo un po’ mi rodeva. Un giorno alla Farnesina mi viene voglia di provare l’alto e salto 1,30, a quel punto sento uscire dalla mia bocca: “Allora ci vado!”. Mi iscrivo alla gara dell’alto e dei 1500 che sono lo stesso giorno così torno in giornata. Non sto male a fare i lunghi ma in pista tutte le volte che ho provato a fare delle ripetute veloci mi è venuto un dolore forte allo sciatico e ho dovuto interrompere.

Parto per la Cina e a Pechino corro la mattina presto nei parchi, intorno alla città proibita, a piazza Tienanmen, nelle stradone dei centri commerciali, spesso in mezzo a un sacco di gente; macino chilometri a volte con la mascherina per l’aria inquinata ma sempre piano perché alle sei e mezzo di mattina nun jela posso fa a spingere. Lavoro tanto e dormo poco e quando torno sono talmente stanca e rincoglionita per il jetleg che mi addormento dovunque.

Quando vado in pista a provare dei cinquecento mi sento uno schifo e poi dolore alla sciatica. Provo l’alto e mi sento le gambe come zavorre, non salto neanche 1,20. Penso che dovrei rinunciare. Provo con oki, vitamine, parmigiano, sonno. Sto un po’ meglio, ma di allenamenti veri non se ne parla, corsette piano… comunque giovedi 31 prendo il treno con Juma e andiamo ad Ancona.

Di notte sogno che devo fare uno spettacolo di teatro in cui devo recitare e anche cantare. Ma io non ho mai letto il copione e non so il testo della canzone neanche come inizia, ma si sta per aprire il sipario e io devo entrare. Non ci vuole l’illustrissimo Lucidi a capire che anche il mio inconscio mi dice quanto sono impreparata alla prova che mi aspetta.

La mattina prendiamo l’autobus e arriviamo allo stadio. È bello vedere un fiume di gente che parla tutte le lingue. Mi sento molto felice ed emozionata. Mi compro il completino azzurro dell’Italia e le scarpe chiodate da alto. Mi inizio a scaldare: alle 12,30 ci sono le batterie dei 1500. Alle 11,30 compare l’avviso che le batterie sono state cancellate e che si va direttamente in finale sabato pomeriggio. E mo’? Dovevo tornare la sera stessa col treno, mi tocca pagare altri 92 euro di albergo.

Telefono ai miei che mi tengono Tommaso che mi fanno entrambi un gran cazziatone. Che ci sono andata a fare me ne sto sempre in giro e loro devono badare ai bambini, disapprovano decisamente le mie scelte e mi fanno sentire molto in colpa. Mi viene da piangere sto per decidere di non fare la gara dei 1500 ma meno male che Marco mi sostiene.

Alle 16,20 inizia la gara dell’alto. Ho il magone e la testa un po’ confusa, il pensiero che ho fatto una cazzata a venire e scarsa fiducia nel fatto che avrei superato la quota di ingresso di 1,20. Ho però le mie scarpe da alto nuove e una strizza che tira fuori l’adrenalina. Sono dentro lo stadio. Juma dagli spalti mi fa le foto. Faccio tre salti di prova e salto 1,25. Inizia la gara. Poche atlete partono da 1,20. Salto 1,20 al primo poi 1,25 al secondo e 1,30 al secondo. Provo 1,35 ma sento che non è alla mia portata. Anche altre escono a quella quota. Mi piace l’atmosfera dell’alto. Tra le atlete ci si incita, si danno consigli, si chiacchiera si fa amicizia, stavolta anche in inglese. Con le eliminate ci troviamo sul tappetone dell’asta a cazzeggiare e incitare le atlete rimaste in gara. Bella gara vinta con 1,58 da una slovena davanti a un italiana e una buffissima turca bionda e magrissima che continuava a mettersi e togliersi pantaloni diversi e dopo ogni salto riuscito piangeva. L’alto è una gara di nervi e di testa, mi ha sempre affascinato, ora a vedere e condividere i tic i e rituali delle altre mi sembrava un gran privilegio anche se mi sento un osservatrice esterna e decisamente scarsa. Arrivo ultima ma con dignità, ho fatto il mio personale in gara e sono molto soddisfatta. Penso che se mi allenassi per l’alto potrei fare di meglio, oppure rompermi il menisco e fare decisamente peggio.

Il giorno dopo tocca al 1500. La faccio breve perché ho scritto un poema. Volevo fare 5,50″, mi sarei accontentarta di fare anche un secondo sotto i sei minuti ma ho fatto 6’03”. Dividono la finale in due e io sto nella prima, quella delle più scarse, quasi tutte italiane. Nel box prima di entrare in pista chiacchieriamo e facciamo amicizia. Anche altre sono mamme e lottano per correre contro chi non capisce le loro esigenze. Ci abbracciamo tutte e ci facciamo in bocca al lupo di cuore prima di partire. Poi si parte.

Mi ero fatta dei calcoli sui passaggi ma quando parto non ci capisco più un cacchio. Se non ci fosse il contagiri non avrei idea di quanto manca. La pista rimbalza ed è piccolissima e inclinata in curva. Sto nel gruppetto con altre italiane e ogni tanto ci superiamo a vicenda. Quando arrivo ci rimango un po’ male del tempo ma sono molto contenta per lo spirito con cui io e le altre abbiamo affrontato la competizione. Bellissima esperienza. La vita è una sola e non bisogna lasciarsi sfuggire occasioni e io ‘sto europeo master anche se con scarsissimi risultati l’HO FATTO!!!

Vazia, Rieti

Questa mitica località, addirittura citata nella letteratura del Punk romano dei primi anni ottanta, è il luogo dove più di 100 anni or sono nacque Quinto Paolessi, detto “Rampichino”.

Quinto figlio di una numerosa famiglia, di tradizione comunista, venne chiamato alle armi e dopo alterne vicende si ritrovò come mitragliere in prima linea sul Don, nella campagna italiana in Russia, durante la II guerra mondiale. Sopravvissuto agli eventi di cui sopra, dopo la prigionia, in buoni rapporti con la popolazione locale, tornò a piedi in Italia, in particolare al Tufello, dove da tempo la sua famiglia si era trasferita.

Ebbe due figli, uno dal primo, l’altra dal secondo matrimonio. Persona tranquilla, saggia, silenziosa, ha svolto in modo onesto, dignitoso e competente il mestiere di carpentiere ferraiolo. Detto anche il “Professore”, era molto stimato per la sua grande dignità morale e fu famoso nel quartiere perché, così come il fratello Angelo, era un abilissimo scalatore, in particolare saliva sugli alberi della cuccagna e prelevava prosciutti e salami e quant’altro appeso in cima.

Dopo molti anni finalmente corro a Vazia nel Trofeo Bar del Secolo (classifica). Penso a mio padre, respiro aria di casa e anch’io riporto a casa una salamella, correndo con lui nel cuore.

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Residuati Bellici

La mattina presto, a Monterotondo, scortata da Lord Nulli, sono già cotta. Mi addormento sulla Salaria e mi risveglio a Fiuggi, quasi dentro le Terme Anticolane. Il buon Sandrino riesce a trovare il posto malgrado le segnalazioni inesistenti. Memore della squalifica recente, mi porto alla spunta quasi un’ora prima della partenza e, anche su consiglio di Alessandro, evito di allontanarmi più di 50 metri dalla partenza.

Piano piano mi sveglio e comincio a guardarmi intorno: pochi romani, tanti dialetti di tutta Italia, interessantissimi pezzi da museo, di cui io ovviamente faccio parte. Tra le serie partenti femminili sono la più vecchia delle più giovani ed è già qualcosa. Mentre mi riscaldo e poi, durante la gara, ad ogni fischio o rimprovero, salto, temendo la squalifica. Ormai è come il campanello di Pavlov!

Comunque, nonostante la fiacca iniziale, porto a termine dignitosamente la gara, arrivando nel mezzo del pacchetto di mischia.

Poi faccio un lunghissimo defaticamento compulsivo per allungare il brodo a questi 4 km per me sempre troppo pochi, mentre i maschi si riscaldano e gareggiano.

I nostri uomini, trio d’eccellenza Nulli-Scozzarella-Capizzi, devono confrontarsi, il primo, con un vecchio carico da undici societrario, un tal Gastone Breccia che qualcuno sicuramente ricorderà….

Gli altri due trovano gradita una piccola sfida in casa, mettendo giusto un po’ di verve sul finale, nonostante acciacchi e fastidi vari.
Tutto sommato ci possiamo stare, in questo Campionato Italiano Master di Cross siamo nel nostro, non facciamo affatto una brutta figura e forse potevamo essere di più, magari una volta la mettiamo come gara societaria.

Poi arriva la foto del Maestro sul podio al cross di Monterotondo, Ale si fa due calcoli e rosica un pochino… però mai il Lord anteporrebbe il pacco alla gloria!

Al ritorno, più cotti di prima, sotto casa del Maestro, già in branda per la ormai famosa pennichella di Jota, quasi quasi ci scappa la serenata con scampanellata e fuga, ma poi mi avvio verso Palombara, con i Black Flag a palla per tenermi sveglia e un incauto acquisto nella borsa: la canotta dell’Italia, non si sa mai…

Roma Ostia 2016

Ben 16 i rifondaroli alla classicissima Roma Ostia 2016, svoltasi in una giornata di sole lievemente velata. In mancanza di meglio Stikka mette in riga tutti (1h 38 e passa), sopravanzando il Gagliardo di una manciata di secondi. Segue il cappelluto Conti, che mazzola ben bene Guerra Minor, poi un Solimini troppo sicuro di sé, Frankie Dalton (nella foto segnaletica), il maratoneta Enricomaria e il perfido Johnnie Dalton, anche lui cappelluto. A un’ora e cinquantaquattro la pimpante Elisabetta, prima tra le donne in mancanza di primedonne, poi il compassato Oliva. Sull’orlo delle due ore la stella dell’est, Vera Pranvera, poi Battilocchi e Camilla Panzieri. Hanno il tempo di farsi la doccia quand’ecco spuntare la dott.ssa Murri, seguita a ruota da Giulia e Maria Vittoria, che però si erano attardate a raccogliere cicoria a bordo strada. Bravi tutti, brave tutte!

 

Il Gagliardo, il conte Conti, Frankie Dalton e l'implacabile Stikka
Il Gagliardo, il conte Conti, Frankie Dalton e l’implacabile Stikka
Avviso ai naviganti

E’ questa la mia quarta Romaostia, intrapresa più per scommessa che per altro. Al ritiro dei pettorali per la Miguel, Angelo mi annuncia che un folto gruppo di rifondaroli si sta formando per percorrere, come un sol uomo, i venti kilometri che separano il zozzoso laghetto dell’EUR dalla fetida spiaggia ostiense: il tutto a 5 minuti al km. Capisco che si tratta di un silenzioso guanto di sfida, che io raccatto ancor più silenziosamente. La mia preparazione atletica è raccogliticcia e intermittente, ma in fin dei conti “manca un mese e mezzo”. E’ solo due settimane fa che finalmente realizzo che i 37.00€ di iscrizione last minute potevano essere utilizzati in maniera più costruttiva, e mi costringo mentalmente a passare all’azione. Il primo allenamento è sconfortante, due mezze orette appiccicate con la sputazza di uno stretching sulla cunetta di via della Pisana. Ma non mi perdo d’animo, martedì un’ora, venerdì un’ora e dieci, domenica un’ora e venti, tra le passeggiatrici di via di Brava. Dài, si può fare! Riposo fino a mercoledì, un’ora e mezza sotto la pioggia sferzante. Cinque allenamenti cinque per preparare una mezza maratona. Venerdì ritiro il pettorale, zigzagando tra i venditori di scarpe a molla e pasticche criptodopanti. La sera prima cena da amici, una porzione esagerata di pollo al curry innaffiata di birra, tanto per tenersi leggeri. Il marito di una convitata, podista giudizioso, è rimasto a casa per preservare lo stomaco. Torno a casa e preparo il bagaglio, ora non posso sbagliare più nulla…

Sveglia alle sei, giusto in tempo per una abbondante colazione tre ore prima della partenza. L’orzo solubile in acqua calda facilita l’azione espulsiva. Mi vesto a cipolla, sopra il completino (pettorale applicato rigorosamente la sera prima) maglietta da battaglia, termica e K-way, pantaloni della tuta RP, scarpe e calze con cui correrò. Nella borsa di un orrido fucsia poche cose, un accappatoio in microfibra, mutande, calzini e maglietta di ricambio, mezzo litro d’acqua, patente e 5€: meno si ha, meno si può perdere. Mi sento come gli alpini sul Don, inforco il motorino alle sette e mezza, dopo altre sedute contemplative.

Parcheggio ad Eur Fermi, un nugolo di imbecilli dagli zainetti sgargianti già si avvia lungo la collina del palazzetto. Lascio occhiali e K-way nel bauletto, la giornata è bella, quando tutto manca mi danno un altra pellecchia all’arrivo. Orrore, c’è fila al bar, non è più tempo di fare colazione questa! La salita del palazzetto è snervante, la coda di aspiranti mezzomaratoneti si imbottiglia tra guard rail e balaustra. Davanti a me due vecchietti che sembrano usciti dagli anni cinquanta, incongrui nei loro montoncini, circondati da pezze di mylar. Finalmente sul piazzale, indirizzo un neofita verso la fila dei camion rossi, individuando il mio col numero 14. Rituale spogliarello sullo spartitraffico, rimango in completino e maglietta da battaglia (ricordo dell’inaugurazione di un albergo) e bottiglia da mezzo litro. Finalmente i rifondaroli, un Angelo in ali di plastica, il gagliardo Pierluca, il Conti che conta, un Mazzarelli / Dalton al suo primo cimento. La foto è d’obbligo, presso la lamiera rossa scaldata dal pallido sole. Sono le otto e mezza, i caposquadra urlano ordini perentori: “Chiudere i portelloni!”, i ritardatari si affrettano. E’ l’ora più importante, 45 minuti prima della partenza: mi sgargarozzo il mezzo litro. Idratazione perfetta!

Facciamo finta di scaldarci, in realtà spio un angolo dove scaricare la vescica, più che la tensione. E qui la manifestazione rivela il suo becero volto maschilista: le donne in fila ai cessi chimici, gli uomini a pisciare tra le siepi. Entro nella griglia arancione, quella degli inclassificati di Guantanamo: nonostante vanti un 1 e 36 in tempi storici, l’anno scorso non ho fatto nulla. Mi raggiungono Conti e Dalton Mazzarelli, nella griglia davanti c’è Angelo, oltre ancora Pierluca. Ma è un’altra Onda, quasi fosse un altro Universo. Si studiano le strategie, si parla con nonchalance di operazioni al basso ventre, siamo come mucche al macello, strette ad alitarci addosso, le frasi fatte che escono dagli altoparlanti servono solo ad obnubilarci. La seconda onda è partita, cominciamo a muoverci verso la partenza, mi levo finalmente la maglietta da battaglia e la scaglio in faccia ad una poveretta sulla sinistra. Inquadrata dall’arcone pneumatico, la retroguardia della seconda onda affronta la prima curva e sparisce alla nostra vista: che fine hanno fatto? E se ci fosse una voragine, lì, dietro l’angolo, e non ti puoi fermare perché i sopraggiungenti ti ci spingono dentro?

PAM! I pensieri insensati sono cancellati dallo schiocco dello starter. A furia di “…permesso, permesso…” ci siamo sagacemente ritrovati presso la linea di partenza, la densità del fluido umano di cui facciamo parte si rarefa più che linearmente, Conti ne approfitta per prendere la testa del terzetto, e capisco subito che la consegna dei cinque al kilometro per lui vale come una banconota della repubblica di Weimar. Prudentemente mi associo al Dalton, lo voglio portare sano e salvo all’arrivo, io con lui. Imposto il passo, cinque, massimo quattro e cinquanta. Una passante ci taglia la strada, schiaffeggio con la coscia la pesante borsa, ma non mi abbandono alle recriminazioni. Si passa sotto al grattaTotti, a fianco del velodromo bombardato. Passa il primo quarto di corsa, siamo in perfetto orario, contrariamente alle mie indicazioni Francesco attinge al primo vettovagliamento. Sulla complanare, in senso inverso, corricchiando ci salutano il professor Lucidi e Nonno Nanni, ma potrebbe essere una allucinazione qualsiasi, rimaniamo alquanto freddi, ma cortesi. Sento che il Dalton è confidente, sicuro della mia guida: si alternano salite e discese, le prime affrontate con determinazione, le seconde senza spendere energia, portati a fondovalle dalla semplice forza gravitazionale. Conto le pendenze con un occhio al cronometro, cercando di arrivare al salitone con qualche minuto di riserva. Ho istruito il mio scudiero sulla questione salitone: è vero, la base è ben più bassa della sommità, e fa paura per linearità indifferente, ma è un mostro che non morde, uno spauracchio da affrontare col sorriso sulle labbra. E’ peggio quello che viene dopo, un infido falsopiano, pensi che la fatica sia finita e invece… Ma lì ci sono i vettovagliamenti, i ventisette bicchieri vergini che spettano agli eroi, stringi i denti che poi è tutta discesa! E così facciamo, o almeno così la mia immaginazione mi suggerisce, afferro il bicchiere con la sinistra, un sorso in bocca, sputo senza ingoiare, come una neofita del porno, il resto sulla zucca. Perfetto! Mi volto per congratularmi con Francesco… e non lo vedo… Cerco di correre rimanendo fermo, andare avanti guardando indietro, come l’Angelo della Storia, ma niente, Dalton è stato fagocitato dai marosi umani che mi stanno alle calcagna, ha incontrato la sua ombra, che è stata più veloce di lui.

Sono solo in mezzo alla folla, ma è come se avessi perso un punto di riferimento. Al dodicesimo scocca l’ora esatta, è amaro congratularsi solo con se stesso. Un disperato mi supera col borsone sgargiante sotto braccio, come se stesse ancora rincorrendo il camion. Fisso la linea di mezzeria, alternativamente bianca e grigia. Mesmerizzato, non mi accorgo che la media, per il terzo quarto di gara, cala a 5 e 10 (certificato TDS).

L’ultimo quarto è tutto di mestiere, so esattamente quanti sono cinque, sei km, li so rapportare ai percorsi ameni della villa mia Pamphilii, dove sono solito allenarmi. Dal Bel Respiro all’Aurelia, poi fino al laghetto, il curvone che ritorna al campone, le grottaglie e siamo a tre, il Vascello e siamo a quattro. Nella mia testa sono sui vialetti di brecciolino, nella realtà sull’asfalto pseudo pianeggiante. La corsa richiede le sue vittime, una donna sulla lettiga, la mano sugli occhi, un vecchio stralunato, incartato come trota al forno in un foglio d’oro. Aggiungi acqua, aggiungi un quarto d’arancia, ormai è routine, ormai è noia: arrivo con un minuto di ritardo sulla tabella di marcia.

Nulla da ridire sull’organizzazione, mi riapproprio della borsa sgargiante, ben protetto dal K-way d’ordinanza. Siamo tutti dei puffi che spingono per uscire. Trovo una piazzola per cambiarmi, rimango per un po’ nudo ad asciugarmi, col solo accappatoio di microfibra addosso: fosse qualsiasi altro giorno dell’anno dovrebbero sbattermi dentro per oltraggio. Alla stazione invece, come in ogni giorno dell’anno c’è il delirio: mancano gli spicci, impossibile comprare i biglietti. I più previdenti l’hanno preso in settimana, alcuni addirittura l’anno scorso. Compro tre biglietti per 5€, tutto il mio budget. Scendo a Magliana, disgustato, non ne posso più di racconti di imprese podistiche. Me la faccio a piedi fino al motorino, costeggiando nuvole d’acciaio.

Concludendo, con pochi allenamenti e una condotta di gara attenta, porto a casa 6 punti di criterium. Da un lato sono soddisfatto, dall’altro un po’ annoiato. Il mostro, guardato da due file di pini marziali, brulicante di pixel umani, non fa più paura.

Andy (Andrea) War (Guerra)

 

Due fettine di arancia

Ebbene si: “lei” e’ arrivata, implacabile.

Irrispettosa degli sforzi (e tanti!) fatti per scongiurarne la compagnia mi ha sorriso vero il 15 km e poi carpito senza scampo alla fine del sedicesimo.

Ne avevo sentito parlare ma, pensavo, fossero i soliti aneddoti di podisti sfigati che partono troppo forte. Al massimo roba per maratoneti che si cimentano in ben altri sforzi. Non puo’ succedere in una mezza. E di certo non a me che ne ho gia’ fatte.

Mesi di allenamento con coach Novaro, lavori progressivi, variati, le ripetute, i lunghi sotto la pioggia con Mauro e Francesco, l’impostazione della gara su un ritmo ben piu’ lento (“poi, dopo la salita del campeggio…”). E poi, ancora: il sito di Albanesi, fisioterapia preventiva, alimentazione, integratori, a letto presto, colazione 3 ore prima ecc. ecc. ecc.

Ah che ingenuo sono stato!

Lei e’ qui’.

Parte subdola dal basso e, pian piano ti avvolge. Arriva fino alla testa. Ti stringe lentamente ma aumenta di intensita’ in modo progressivo e ineludibile.

Quando realizzi cosa ti sta succedendo, e’ gia’ finita.

Tu reagisci caparbio (anni di ascolto del prof Lucidi serviranno a qualcosa…o no?!), ti riporti sotto ai perfidi palloncini, una, due, tre volte. Ma questi oggetti svolazzanti in lattice (che dovrebbero fare pensare ad una festa) sono alleati con questa entita’ superiore.

E, fedeli alle consegne, se ne vanno. Scompaiono all’orizzonte. Per sempre.

Addio sogni di (vana) gloria! Addio progetti di ultimo km con ritmo baldanzoso! Addio foto all’arrivo senza la solita smorfia di dolore in faccia. Addio sfotto’ ai compagni della podistica (e meno male che Marcella non c’era).

Resti li. Vuoto, attonito, assente agli stimoli esterni.

Con un bicchiere d’acqua e due fettine di arancia in mano.

Squalificata!

Eh sì… la Vipera berus, già di indole grezza e bisbetica, notoriamente allergica alle imposizioni restrittive, non aveva mai provato fino ad oggi l’ebbrezza della squalifica in gara. Ebbene, proprio in quei del cross di Casal del Marmo (campionati societari Master), la fatidica botta è arrivata.

Complice il maltempo e un giudice particolarmente puntiglioso, nonché la maniacale compulsione a volersi riscaldare fino all’ultimo secondo, hanno fatto trovare impreparata la seccaccia allo sparo del via. Un entrata sul percorso di gara 10 m più avanti del via ufficiale hanno fatto il resto. Richiamo lungo il percorso e stop ufficiale al termine del primo giro.

E dire che tanti anni di esperienza e gare non mi hanno impedito di fare la cavolata, quando conosco benissimo la pignoleria, forse in questo caso giustificata, dei giudici, verso i quali ho comunque inveito e sbraitato, rischiando un provvedimento disciplinare!

Peccato perché ci tenevo a correre tra le sughere del parco dell’insugherata Acquatraversa, frutto di lotte cittadine ambientaliste e microclima più freddo di Roma, dove in questi giorni sta fiorendo il Galanthus Nivalis (detto volgarmente bucaneve) e nel contempo poter respirare la stessa aria di tutte quelle ragazze e quei ragazzi che a pochi metri da noi, reclusi nell’istituto penitenziario in cui la gara è stata disputata, sono privati della loro libertà personale. Curioso ma non ho sentito nessuno, né speaker, né referenti FIDAL, che al microfono abbia fatto notare questi importanti elementi, almeno per me.

Mi viene da fare un confronto con la UISP, per cui forse la solidarietà, l’ecologismo e i diritti umani valgono quanto o più del gesto atletico e dell’esasperazione dei regolamenti.

Mi viene voglia di tornare a correre tra le mie montagne e mandare tutti a quel paese.

Poi però tocca ai maschi e poi ancora ai bambini. Vederli correre sotto la pioggia, tra il fango, pieni di entusiasmo, mi fa rivalutare la giornata. Peccato per la piccola Chiara, mia affezionata atletina, esclusa dai giudici dalla competizione perché, seppur regolarmente iscritta, non risultava su uno stupidissimo elenco di nomi e numeri, ma come direbbe Darth Fener / Anekin Skywalker, la ragazza ha avuto una buona maestra!

Rock & Run

Avevo visto questa gara qualche mese fa e me la ero segnata, mi immaginavo uno scenario di corsa con atleti con magliette dei Clash e degli ACDC e un furgone con casse che seguiva la corsa, mandando musica rock a palla, in realtà di rock c’era solo il titolo (classifica da M. Moretti).

In compenso la gara si articolava nel bellissimo scenario della pineta di castelfusano, con arrivo davanti al mare.

Pochi ma ottimi rifondaroli decidono di aderire: Fabio e Giovanni (che abitano a 50 metri dalla partenza) e Davide, con un’esuberante Cristina, in gran forma e con una gran voglia di correre e che presto darà dei grattacapi alle rifondarole che calcano i vertici del criterium. E’ prevista pioggia, ma noi siamo fiduciosi, Giovanni e Fabio arrivano alla rotonda di Ostia tipo alle otto e mezza, quando ancora c’è il sole. Circa un ora prima dell’inizio della gara si scatena un nubifragio con raffiche di vento che faccio fatica a percorrere la Colombo fino alla fine. Alle nove e mezza ci troviamo tutti e cinque nel bar dello stabilimento Venezia con una sola domanda in testa: “Che cacchio ci siamo venuti a fare ad Ostia e perchè non ce ne siamo rimasti a dormire?”. Altri podisti stazionano nel bar con lo stesso interrogativo in testa. La tormenta a un certo punto si attenua e la voglia di correre ritorna. Dopo dieci minuti siamo tutti con il pettorale a scaldarci.

Con Fabio abbiamo deciso che avremmo fatto la gara insieme facendo 5km a 5′, 5 a 4’50” e gli ultimo 4 a 4’40”. Partiamo tutti insieme con allegria, tranquilli, io un pò scalpito per andare più veloce ma poi più o meno mi metto sul passo giusto. Al primo giro sulla parte di sterrato ci stanno un sacco di pozzanghere, fango, rametti, bisogna fare attenzione a dove metti i piedi. Quando siamo tipo al 4° km sento un urlo seguito da un “CRACK” e vedo che Fabio fa un volo seguito da almeno quattro capriole a terra. Mannaggia, si ferma! Per fortuna però non si è rotto e dopo aver camminato riprenderà a correre, nel tentativo invano di riprendermi. Corro quindi senza pace maker, ma riesco a rispettare abbastanza i tempi previsti. Al secondo giro vedo che sto ancora bene e continuo a riprendere le donne che vedo davanti a me. Noto con soddisfazione che ultimanente reggo molto meglio le distanze più lunghe e arrivo che sono ancora in grado di spingere, forse anche perchè sto imparando a partire più  piano, e quando arrivo non sono moribonda come al solito, ma molto contenta.

Noto poi con soddisfazione che sono prima di categoria (c’è il vantaggio che sono appena diventata MF50), me ne torno quindi molto soddisfatta casa del Novaro con il mio pacco premio pieno di generi alimentari.

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Hasta Miguel!

Presentiamo qualche foto della giornata di domenica, prima , durante e dopo la Corsa di Miguel (classifica). A seguire qualche riflessione di Paola.

W Giovanni!!!!

Scusate ma mi è venuto naturale. Ormai mi vengono di getto questi pezzi. Oggi dopo aver letto la classifica societaria. Anche il puntarello che mi ha rifilato “a tradimento” l’ottima Marcella a Miguel, che con un magnifico bluff alla partenza, ha surclassato la Vipera berus di due spanne (scherzo, Marceeee!!!!) è andato giù meglio. Questo mitico fratello Dalton (Giovanni Ricci, N.d.R) con la scoppola non ne salta una e comincia anche ad abbassare i tempi… passa dal cross corto alla maratona e in ogni dove corre con il fuoco tra le chiappe!

Comunque questa Corsa di Miguel ha visto una massiva partecipazione societaria, ma lo spettacolo, lo hanno dato loro, come sempre, il settore giovanile e i genitori. I nostri geriatrici master, acciaccati e accasciati, fanno quello che possono, ma loro no, trasudano energia e smalto da vendere, a partire dal piccolo Filippo, mio orgoglio di atletino, per non parlare di tutti gli altri, da Costanza a Livia, da Alice alla piccola Tudina e tutte le altre e altri… (qualche foto nell’area riservata).
Bellissime e bravissime anche tutte le donne, massiccia roccaforte mai vista in questa società.

E che dire di Antonella e la piccola Cecilia?

Siamo una bella squadra. Con tante peculiarità, forse piccole criticità, ma bellissima.

RP non si discute. Si ama.

W Giovanni!!!!-Titolo-

Corse su corse…

Un mese pieno di km, di gare, di attività… Si corre e si fa correre, un giorno dopo l’altro, un passo dopo l’altro. Palombara, Nepi, Bolzano, Farnesina, Monti Simbruini, Fulvio Bernardini e allenamenti tra boschi, montagne e Parchi. Tanti impegni per grandi e piccoli che non diminuiscono la voglia di fare e ci portano all’evento culminante del mese: La Corsa di Miguel che si terrà domenica 31 gennaio.

Ci inventiamo delle storie fantastiche sulle nostre imprese, diventiamo come degli avventurieri che giorno dopo giorno maturano esperienze e crescono… ognuno a modo suo.

Oggi la 3 comuni (classifica da M. Moretti) è stata davvero lunga per Chewbecca che, abbandonata dai suoi compagni di ventura (anche se al traguardo ha incontrato, pensate, nientemeno che la Valchiria in incognito e in grande spolvero), lungo i 22,5 km ha cercato di mantenere la concentrazione in una distanza che non aveva, correndo più con la testa che con le gambe e chiudendo tutto sommato con dignità questa insidiosa Regina d’Inverno.

Ma ieri i ragazzi di RP hanno dato il meglio all’Impianto Fulvio Bernardini, in una Pietralata dal sapore di altri tempi, scatenando l’onda verde che ormai conosciamo bene. Avanti a tutti la piccola Anna, minuscolo esserino che sembra uscire da un libro di fiabe e poi Giorgio, Alessandro, Leonardo e i più grandi, ormai atleti maturi e consapevoli, nostra linfa vitale energetica e fantasiosa…

Un grazie speciale a tutti i rifondaroli, maestri, atleti e genitoratleti, compresi coloro che in contemporanea alle staffette e alle gare alla Fulvio Bernardini, ieri, si allenavano e allenavano alla Farnesina… ormai siamo talmente veloci da avere il dono dell’ubiquità!