Ebbene si: “lei” e’ arrivata, implacabile.
Irrispettosa degli sforzi (e tanti!) fatti per scongiurarne la compagnia mi ha sorriso vero il 15 km e poi carpito senza scampo alla fine del sedicesimo.
Ne avevo sentito parlare ma, pensavo, fossero i soliti aneddoti di podisti sfigati che partono troppo forte. Al massimo roba per maratoneti che si cimentano in ben altri sforzi. Non puo’ succedere in una mezza. E di certo non a me che ne ho gia’ fatte.
Mesi di allenamento con coach Novaro, lavori progressivi, variati, le ripetute, i lunghi sotto la pioggia con Mauro e Francesco, l’impostazione della gara su un ritmo ben piu’ lento (“poi, dopo la salita del campeggio…”). E poi, ancora: il sito di Albanesi, fisioterapia preventiva, alimentazione, integratori, a letto presto, colazione 3 ore prima ecc. ecc. ecc.
Ah che ingenuo sono stato!
Lei e’ qui’.
Parte subdola dal basso e, pian piano ti avvolge. Arriva fino alla testa. Ti stringe lentamente ma aumenta di intensita’ in modo progressivo e ineludibile.
Quando realizzi cosa ti sta succedendo, e’ gia’ finita.
Tu reagisci caparbio (anni di ascolto del prof Lucidi serviranno a qualcosa…o no?!), ti riporti sotto ai perfidi palloncini, una, due, tre volte. Ma questi oggetti svolazzanti in lattice (che dovrebbero fare pensare ad una festa) sono alleati con questa entita’ superiore.
E, fedeli alle consegne, se ne vanno. Scompaiono all’orizzonte. Per sempre.
Addio sogni di (vana) gloria! Addio progetti di ultimo km con ritmo baldanzoso! Addio foto all’arrivo senza la solita smorfia di dolore in faccia. Addio sfotto’ ai compagni della podistica (e meno male che Marcella non c’era).
Resti li. Vuoto, attonito, assente agli stimoli esterni.
Con un bicchiere d’acqua e due fettine di arancia in mano.