Firenze: i miei primi quarantadue a cinquant’anni.

Mezz’ora dopo il mio arrivo al traguardo, telefono ad Angelo (Solimini) per dirgli com’è andata. Lui, dopo essersi congratulato, mi dice “guarda che dovete scrivere un pezzo per il sito di rifondazione. Gli altri se lo aspettano”, al che io gli dico che non é che ci sia molto da dire, se non che ho corso quarantadue chilometri e rotti, il tempo era bello, né troppo freddo né troppo caldo, non ho avuto particolari difficoltà e poi, ho corso quasi sempre da solo. Si perché l’appuntamento con Enrico, l’altro rifondarolo, salta subito. Alla partenza infatti non lo vedo. Dovremmo essere nell’ultima gabbia (quella dei senzatempo), abbiamo lo stesso colore di pettorale, il rosa, ma lui non c’è. Scoprirò dopo che è riuscito a imbucarsi in quella di un suo amico plurimaratoneta. Due o tre gabbie avanti alla mia. Lo scoprirò intorno al decimo chilometro quando, dopo aver da poco superato una sposa con la barba e un capo indiano, lo vedo con l’amico all’ombra dei palloncini delle quattro ore. E siccome all’ombra si sta bene mi ci metto anch’io. Rimaniamo così per una decina di chilometri, tranne una breve accelerazione in corrispondenza delle nostre famiglie, tifosissime. Dopodiché mi sembra di capire, ma è facile che mi sia sbagliato, che il piano di gara di Enrico and friend sia di proseguire molto prudenti fino al trentesimo chilometro per poi dar fuoco alle polveri. Non è per me, preferisco riprendere il mio passo (5,25 circa) con il quale arriverò fino alla fine. A un certo punto supero uno con una maglietta che cita più o meno così: “i primi trenta con le gambe, altri dieci con la testa, due con il cuore e centonovantacinque metri con le lacrime”. E mi chiedo: “ma l’intestino?”. No dico, l’intestino gli altri non ce l’hanno? Ecco, l’intestino è il mio vero problema, e ogni volta che faccio rifornimento sento un certo rimescolio. Dura poco, però mi mette i brividi. E così attendo i rifornimenti con ovvia gioia ma anche con un velo (spesso) di ansia. Tanto che a un certo punto mi sorprendo con in mano due spugne. Perché non le ho buttate dopo essermi rinfrescato? Vai a capire l’inconscio…

Poco altro da segnalare, solo che dal trentacinquesimo al trentanovesimo ho fatto i conti con la paura. È stato come attraversare una grotta umida, buia e insicura. Dove da un momento all’altro può succedere qualcosa che ti induce alla resa, nonostante te. E poi il sole e gli ultimi due chilometri consapevole che non ti può succedere più nulla, lo spettro è ormai alle spalle e allora vai a tutta fino alla fine. Ma prima, all’ultima curva, una bambina mi si avvicina e mi prende per mano. È Sofia. Insieme corriamo gli ultimi centometri e tagliamo il traguardo. (Treorequrantottominutiventunsecondi).

Come vedi Angelo non è che ci sia molto da raccontare, se non, forse, quanto segue.

Dopo l’arrivo, con la medaglia al collo, la mantellina e il pacco gara risalgo la corsa per raggiungere la macchina e tornare a casa. Vedo così l’arrivo di una moltitudine di persone, di qualsiasi età, peso, altezza. E a me sembrano tanti eroi. E più ne arrivano più mi sembrano gloriosi. Il fatto che stanno percorrendo quell’ultimo chilometro pur essendo meno “atleti” di chi li ha preceduti li rende mitici. Invincibili. Il tempo non toglie nulla all’impresa. Aggiunge. Ecco, per me questa è la magia della maratona. E lo straordinario affetto che mi è stato trasmesso, in questi giorni, da molti amici di rifondazione che l’hanno già corsa o che un giorno lo faranno è parte di questa magia.

Er prato col cuppolone

A Palombara, “u grugnu a puorcu”, è l’espressione dialettale che identifica il broncio nei bambini capricciosi… alla Corri per il Verde al Parco Regionale del Pineto è l’immagine ferina che mi ha sfiorato la mente al termine di queste tre bellissime domeniche, intense e “toste”, affrontate da veri “cignali incalliti”, in prima linea, con rappresentanti di tutte le età, a partire dai due anni e mezzo, vedi la nostra mitica piccola grande Anna (questo nome mi fa pensare a una sorta di segno di rinascita…).

Ma il grugno, o il “muso duro”, per dirla nel Bertoliano linguaggio dei cantautori, con cui affrontare le fatiche di ogni giorno, si scioglie in un sorriso con la lacrimuccia di commozione quando, al Parco del Pineto, i nostri diavoletti verdi sfoderano lo striscione “Siamo tutti Rifondaroli”, piazzandolo lungo il percorso durante le numerose gare che si susseguono durante la giornata. Questi allegri birbanti ci fanno penare il sabato, si, ma, all’occorrenza si trasformano in un tutt’uno, una valanga verde allegra e compatta, le cui grida di incoraggiamento per i compagni di ogni età, sono forti e trascinanti!

A me queste pesti fanno un effetto micidiale: come dice Giovanni Ricci, ormai immancabile trascinatore dei più piccoli, “accendono una miccia” che fa mettere le ali ai piedi e ti scalda il cuore.
Questo prato con il cuppolone all’orizzonte, immutato negli anni e scampato alla costruzione selvaggia chissà per quale miracolo, è un posto dove ho trascorso parecchi anni della mia gioventù, lotte ambientaliste, scorribande da giovani naturalisti, suonate di chitarre, bruschettate accompagnate da generosi bicchieri di vino, ma ora, questa corri per il verde ha aggiunto a tutto questo qualcosa di molto importante: la consapevolezza che nel piccolo si può essere parte di un processo di trasmissione e condivisione, di un progetto che va oltre il gesto atletico e che fa vedere lo sport come un processo di crescita e di liberazione da schemi e stereotipi: in una società che mette tutti uno contro l’altro per arrivare primi in un insensato nulla, noi siamo uniti, semplicemente, per la gioia di correre liberamente su un prato verde e sconfinato, fosse l’ultimo della città.

E quindi ben vengano le alzatacce se portano alle verdi colline tufacee, alle rosse arenarie e alle sughere del Pineto, ben vengano le mani fredde delle mattine invernali e i piedi bagnati dall’erba se poi possono riscaldarsi correndo negli ultimi lembi di campagna romana tra Ampelodesmos e Cistus salvifolius, infine, ben vengano tutte le corri per il verde, soprattutto quelle in cui, rimasti quattro gatti, qualcuno prepara un micidiale cocktail di gin che scalda il cuore e fa brindare all’ottima riuscita dell’evento!

Ma guardiamo avanti: il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia (non per noi), ci aspetta l’ultima tappa del ciclo delle Corri per il Verde di quest’anno che ci farà approdare al Porto di Traiano. E’ un posto meraviglioso per correre e visitare, vicinissimo al mare, da non perdere assolutamente.

Quindi: caricaaaa Rifondaroli, o forse sarebbe meglio dire: all’arrembaggio!

Archiviato il Pineto

Archiviata la terza tappa della Corri per il Verde 2015, svoltasi al parco del Pineto, nonché terza prova del Criterium societario. Qui trovate le classifiche più sotto le foto dell’evento e in quest’altro articolo le foto della giovanile.